Pace, pane, pianeta: cinque punti per una piattaforma di cambiamento

Dopo due anni di crisi pandemica e un ventennio di crisi e stagnazione ci troviamo sull’orlo di un triplice drammatico precipizio: la crisi internazionale, la crisi sociale, la crisi climatica. 

Il rischio di un conflitto nucleare aperto dall’ignobile aggressione russa e alimentato dalla corsa occidentale agli armamenti, i salari sempre più bassi e insufficienti a sostenere un costo della vita in costante crescita, la crisi alimentare in cui stanno piombando miliardi di persone in tutto il mondo, la nuova corsa ad approvvigionamenti di risorse fossili e la riapertura delle centrali a carbone, l’assenza di risposte concrete al riscaldamento globale sono questioni drammatiche estremamente intrecciate tra loro. 

È il momento di una transizione sociale ed ecologica, è il momento di redistribuire le ricchezze e contrastare le diseguaglianze, di cambiare radicalmente politiche energetiche e attuare politiche di disarmo. 

È il momento di impegnarsi per la pace, per il pane, per il pianeta.

In che modo tenere insieme l’obiettivo della pace con quello di una transizione giusta? 

Come si costruisce un’economia permanente di pace contro un’economia straordinaria di guerra?

Ecco alcuni appunti e idee per una piattaforma di cambiamento.

PIANO STRAORDINARIO PER LA TRANSIZIONE ECOLOGICA 

Serve un piano straordinario di investimenti per la riconversione energetica e industriale del Paese, con una tempistica definita e breve che porti nel breve periodo l’Italia a una sostanziale autonomia energetica basata sulle rinnovabili, mettendo fine alla dipendenza strutturale dalle fonti fossili, siano esse russe, provenienti da altri regimi autocratici, o statunitensi. È il momento di abbandonare il fossile. Non solo quello di Putin.  Serve una pianificazione pubblica per la riduzione rapida e progressiva dell’impiego di gas e fonti fossili e investimenti in ricerca, innovazione e formazione che assicurino la riconversione industriale, continuità della capacità produttiva e aumento dell’occupazione.

Bisogna inoltre rafforzare e implementare una tassonomia europea per gli investimenti sostenibili che escluda il gas e altri combustibili fossili come fonti energetiche di transizione, diventando riferimento unico per le politiche di investimento pubblico e privato nei diversi settori economici. 

È inoltre necessario approvare il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici che consenta di affrontare la crisi climatica tenendo conto delle diseguaglianze economiche e territoriali. 

NAZIONALIZZAZIONE E CONTROLLO PUBBLICO DELL’ENERGIA

Lo Stato deve guidare ENI, non viceversa. Ristrutturazione della governance e strategia aziendale di ENI, SNAM e Leonardo, nel segno di una maggiore trasparenza, controllo e direzione politica delle partecipate pubbliche. In primo luogo, la mission aziendale delle partecipate nel settore energetico e della difesa dovrebbe conformarsi agli obiettivi della transizione ecologica, cosí come la politica delle retribuzioni dei manager dovrebbe legarsi al raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione e ampliamento delle rinnovabili. Premessa di questo ripensamento é la (ri)nazionalizzazione delle grandi partecipate, che assicuri così il pieno controllo pubblico su di esse.

FERMIAMO LA CORSA AGLI ARMAMENTI

Bisogna immediatamente bloccare l’incremento delle spese militari fino al 2% del PIL (da 25 a 38 miliardi annui) deciso dal governo Draghi secondo gli accordi NATO. Le risorse dei cittadini non devono andare a gonfiare le casse dell’industria bellica, ma alla transizione giusta, per salvare il pianeta e rendere sostenibili i costi oggi pagati dai cittadini nelle bollette e nel caro vita.

Serve una mobilitazione internazionale per la messa al bando degli armamenti nucleari. Il ritorno concreto del rischio di una guerra globale ci impone di rilanciare un grande movimento per il disarmo. 

COME PAGHIAMO LE BOLLETTE? RINNOVABILI E REDISTRIBUZIONE

Nel 2022 gli utili di ENI sono cresciuti vertiginosamente. L’utile netto è stato di 3,27 miliardi con una crescita di 3 miliardi rispetto al primo trimestre 2021. Le stime del governo parlano di 40 miliardi di extra-profitti realizzati dalle compagnie energetiche in Italia nei primi 6 mesi dell’anno. Mentre milioni di italiani si impoveriscono e fanno sacrifici per pagare bollette sempre più esose c’è chi si arricchisce senza che il governo intervenga in modo serio. L’impennata dei prezzi dell’energia non dipende dipende direttamente dal conflitto, ma dalla speculazione finanziaria, tramite cui i prezzi di vendita sono stati ‘gonfiati’, mentre i prezzi di fornitura restavano invariati, essendo stati fissati da contratti pluriennali. Non basta la timida tassazione decisa dal governo. Gli extra-profitti sono rendite parassitarie e vanno aggredite con decisione: devono essere immediatamente e integralmente restituite. 

Allo stesso tempo é imprescindibile una patrimoniale sulle grandi ricchezze  per calmierare e rimborsare l’aumento delle bollette di luce e gas. Contestualmente è necessario introdurre in Italia un tetto massimo al prezzo di luce e gas, come giá avvenuto in Spagna e Portogallo.

Ricordiamo che le fonti di energia rinnovabile costano molto meno delle fonti fossili con un impatto importantissimo sulle bollette di milioni di persone. 

Il problema è evidente, la risposta è chiara: rinnovabili e redistribuzione.

COSTO DELLA VITA, SALARIO MINIMO E UN MILIONE DI POSTI DI LAVORO 

I salari sono sempre più bassi, il costo della vita sempre più alto. Nel 2022 secondo la Banca d’Italia l’inflazione si attesterà al 5%. La crescita dei salari è appena dell’1%.

Cinque milioni di lavoratori e lavoratrici hanno un reddito annuo inferiore ai 10 mila euro e sono ormai poveri. Molti contratti collettivi nazionali sono scaduti e spesso quando vengono rinnovati non tengono conto dell’aumento reale del costo della vita.

Come sosteniamo con la campagna #SottoDiecièSfruttamento è diventata improrogabile una legge sul salario minimo e il potenziamento del welfare per un vero reddito di cittadinanza. Salgono i costi? Che salgano i salari!  Serve prevedere l’indicizzazione automatica e trimestrale del salario minimo rispetto all’aumento dei prezzi. Uno strumento che rafforza la contrattazione collettiva perché proietta un pavimento sotto il quale nessun lavoratore e nessuna lavoratrice può essere retribuita, consentendo ai sindacati di spingere la propria azione rivendicativa su livelli più avanzati, senza dover difendere condizioni salariali e normative sempre più regressive.

Davanti alla crisi sempre più acuta serve una terapia shock per l’occupazione: un milione di posti di lavoro pubblici. Servono medici, insegnanti, ricercatori, ispettori del lavoro, professionisti della cultura, dell’ambiente, e molto altro ancora. Rafforzeremmo i settori più importanti della macchina statale, aumenteremmo l’efficienza dei servizi, immetteremmo energie e nuove competenze nell’amministrazione, metteremmo fine all’ingiustizia del precariato nella PA, daremmo un salario adeguato a tante e tanti che ne hanno bisogno.


Anche davanti alla barbarie dell’aggressione russa serve perseguire con forza la strada del dialogo e raggiungere un accordo per il cessate il fuoco. Ne va della salvezza di milioni di civili Ucraini e della pace in Europa e nel mondo. Del conflitto in corso abbiamo scritto qui in modo più approfondito.


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