È il momento della diserzione, è il momento dell’impegno

Il pragmatismo dei pacifisti per fermare il massacro

Guerra, vittime civili, orfani, profughi, armamenti, nazionalismi, odio, macerie, recessione, inflazione, povertà e diseguaglianze, miseria. Soffia un vento terribile nel Vecchio Continente. 

Vladimir Putin, da tempo idolo indiscusso delle destre europee, ha scelto la strada dell’aggressione militare. Lo ha fatto usando a pretesto le spinte a est della Nato e costruendo un impianto retorico ideologico-nazionalista in cui la violenza verbale è direttamente proporzionale a quella dell’ingiustificabile e violentissima aggressione militare allo Stato e al popolo ucraino. 

Nell’istante in cui i carri armati russi hanno attraversato il confine ucraino, l’Unione Europea ha subito una rapidissima e apparentemente profonda mutazione. La guerra è un virus molto contagioso. In 48 ore i leader politici europei hanno indossato l’elmetto. Persino la Germania è tornata ad armarsi stanziando in un solo giorno ben 100 miliardi per il proprio esercito. 

Il Parlamento italiano in un quasi totale unanimismo e a seguito di un intervento atlanticissimo di Draghi, ha scelto la strada dell’invio delle armi. 

Nonostante un dibattito pubblico a senso unico, in cui le voci di chi critica l’invio delle armi vengono emarginate e ridicolizzate, nella società italiana stando ai sondaggi milioni di persone la pensano diversamente e decine di migliaia di persone sono scese in piazza per la pace e il disarmo

Assieme a loro ci siamo mobilitati e ci mobiliteremo perché sappiamo bene che la strada non è quella dell’escalation militare, ma che è necessario perseguire con determinazione la strada del dialogo e della diplomazia. 

È sempre più necessario mobilitarsi con piattaforme rivendicative chiare e senza ambiguità, chiedendo il cessate il fuoco, una soluzione diplomatica e una vera politica multilaterale di disarmo. Le manifestazioni per la pace in cui si chiede la no fly zone e di fatto una escalation militare sono un drammatico e preoccupante controsenso.

Sappiamo bene che fino a pochi anni fa anche il nostro paese ha venduto armi alla Russia, violando l’embargo europeo. Per decenni, Vladimir Putin è stato sostenuto, vezzeggiato, foraggiato dall’intero Occidente, con l’Italia in prima fila. La degenerazione della Russia post-sovietica in un’autocrazia in mano a un “uomo forte” circondato da una ristrettissima cerchia di oligarchi milionari, arricchitisi sulle privatizzazioni, è stata accompagnata dall’indifferenza quando non dall’aperto sostegno di gran parte delle élite europee e nordamericane.

Nella partecipazione alla guerra globale contro il terrorismo, attraverso le atrocità del conflitto in Cecenia, Putin ha trovato piena legittimazione come fiero alleato dell’Occidente, collezionando gli elogi pubblici dei leader Nato, George W. Bush e Tony Blair in testa. Mezza Europa ha fatto a gara per l’amicizia con il presidente russo, necessaria a fare affari d’oro con il gas e i mille altri commerci euro-russi: lo spot televisivo di Gazprom, che da anni precede tutte le partite di Champions League, è l’emblema di un rapporto indissolubile tra le oligarchie russe e l’élite europea. Di questo processo, l’Italia è stata a lungo una delle punte di diamante. Il quattro volte presidente del consiglio Silvio Berlusconi ha fatto dell’asse privilegiato, personale, politico ed economico, con Putin uno dei perni della politica estera italiana per vent’anni, e del resto anche il governo Renzi, in piena invasione della Crimea, ha continuato a vendere all’autocrate russo le armi necessarie ai suoi disegni imperiali.

Non è un caso che Mario Draghi sia stato tra i leader europei più recalcitranti all’imposizione di sanzioni economiche alla Russia: fino a pochi minuti prima di diventare il nostro peggior nemico, Putin era uno dei nostri migliori amici, almeno dal punto di vista economico. Se le svolte retoriche possono essere repentine, quelle concrete richiedono un po’ più di tempo.

Per coprire decenni di complicità, che hanno nutrito la violenza ora scaricata sul popolo ucraino, le élite europee hanno alzato al massimo il volume della retorica bellicista.

Al di là del sacrosanto diritto a resistere degli ucraini, a preoccupare è l’escalation di queste ore. Una volta che l’invio di armi si dimostrasse insufficiente a fermare l’invasione russa, cosa succederebbe? Si è davvero disposti a una guerra con la seconda potenza nucleare mondiale? Si è disposti a mandare i nostri concittadini a combattere e morire in Ucraina? Se la strada è quella, è il caso di parlarne chiaramente. Se invece pensiamo che non si possa arrivare a quel punto, è il momento di fermarsi e di ascoltare le piazze per la pace.

Se una volta si diceva “you may say I’m a dreamer but I’m not the only one” oggi più che mai il pacifismo non può essere tacciato di idealismo. C’è un pragmatismo dei pacifisti con cui fare i conti. La posizione di chi cerca una strada che ci porti al cessate il fuoco, all’avvio di politiche di disarmo e a salvare centinaia di migliaia di vite umane è la posizione realista e di buon senso. 

Il popolo ucraino ha tutto il diritto di resistere a una brutale aggressione, l’Europa avrebbe il dovere di affermare un protagonismo autonomo, pacifista e concreto che porti a un cessate il fuoco più rapido possibile. 

L’invio delle armi, coinvolgendoci, per quanto indirettamente, nel conflitto, ha reso quasi impossibile un ruolo dell’Europa nella mediazione che sarebbe più che mai necessaria. Il piano inclinato rischia di portarci a un conflitto su scala globale. La voglia di mobilitazione totale, la corsa agli armamenti, il rafforzarsi dei nazionalismi, l’odio russofobico che arriva a colpire la grande letteratura, la perdita di lucidità di troppi, l’inconsistenza e la subalternità delle forze progressiste. 

Sale il timore di un nuovo spirito del 1914, di quell’unanimismo e furore bellico che portò l’Europa alla catastrofe. 

L’Europa finisce per reagire sul terreno di scontro scelto da altri, quello militare, per non essere riuscita a proporsi in maniera efficace come attore politico, diplomatico, di pace, come protagonista di un mondo multipolare, in cui la logica delle alleanze militari, ereditata dalla Guerra Fredda, venga superata in un nuovo schema di cooperazione globale, di risoluzione pacifica dei conflitti nell’ambito dell’Onu, di diritto internazionale che sappia assicurare libertà e sicurezza a tutti e a tutte senza bisogno di armarsi fino ai denti.

È tempo di una nuova Europa, che superi i confini tra est e ovest dettati dalla guerra fredda. Sta a noi costruire dei ponti reali con soggettività politiche e sociali dell’Europa Centrale e Orientale, in cui da anni, oltre alla crescita preoccupante di nazionalismi ed estrema destra, spesso fomentata dall’Occidente, si registrano anche movimenti sociali, democratici, ecologisti, femministi, egualitari. La nuova Europa va costruita dal basso, tutti insieme.
Per questo serve dare forza e contribuire concretamente alla ricostruzione di reti pacifiste internazionali. Quanto sarebbe necessaria oggi una mobilitazione pacifista europea o addirittura globale, come fu quel 15 marzo 2003 con milioni di persone a Roma e in tutto il mondo contro la guerra di aggressione all’Iraq?

La libertà e la sicurezza del popolo ucraino, così come dell’intera Europa centrale e orientale, non si otterranno con la corsa al riarmo, con il continuo rischio di escalation, con il conflitto strutturale ed eterno con i vicini russi che l’allargamento della Nato sottintende. L’Europa può e deve essere uno spazio di pace, dall’Atlantico agli Urali. Una pace minacciata da ogni ambizione imperiale: come abbiamo sempre respinto quella americana e Nato, così non possiamo restare inerti di fronte a quella russa, che in questi giorni in Ucraina sta aggiungendo a un’offensiva unilaterale e illegale una serie di crimini atroci contro la popolazione civile. 

Chi in questi giorni ha il coraggio di scendere in piazza in Russia chiedendo la fine di un regime che non solo ha messo a repentaglio la pace in Ucraina e in Europa, ma lo sta facendo sulla pelle del proprio popolo, ha la nostra piena solidarietà e il nostro sostegno

Ripresa dei negoziati diplomatici, indipendenza e neutralità dell’Ucraina, disarmo europeo, fine di ogni politica di potenza, sostegno all’autodeterminazione dei popoli e alle lotte per la democrazia in ogni paese: questa è la strada per la pace e la libertà in Europa, non quella del riarmo e dell’escalation.


Il pane, la pace, il pianeta

La guerra non riguarda solo il popolo ucraino brutalmente aggredito. È un disastro per le popolazioni civili sotto le bombe oggi, sarà un disastro per tutti i popoli del mondo domani. Pagheremo duramente la crisi economica e sociale e la catastrofica crisi ambientale. 

In qualunque paese coinvolto direttamente e indirettamente, l’impatto economico della guerra è drammatico per tutte le persone comuni, quelle che hanno bisogno di lavorare per vivere, quelle che devono scappare dal proprio paese, quelle che perdono il lavoro, quelle che vedono il proprio costo della vita diventare insostenibile.

Esiste un filo che collega chiaramente il ripudio della guerra e la lotta alle diseguaglianze. Guerra vuol dire aumento della povertà per milioni di persone coinvolte direttamente o indirettamente dal conflitto bellico e contestualmente vuol dire ulteriore concentrazione di capitale nelle mani di pochi.
Enel dichiara ricavi da 88,3 miliardi di euro, in aumento di 22,3 miliardi di euro, Eni chiude il 2021 a 4,7 miliardi con il risultato migliore degli ultimi dieci anni. Nel frattempo le nostre bollette volano a cifre insostenibili con un impatto enorme sul costo della vita per milioni di persone.

Ad oggi, l’unica risposta a questa insopportabile situazione economica è la retorica dell’austerità che si fa largo nella comunicazione mediatica. Ricchi uomini di mezza età con redditi abbondantemente sopra la media ci spiegano a reti unificate che servirà spegnere il riscaldamento e indossare il cappotto in casa. Ben venga l’autoriduzione dei consumi energetici e non – ma è importante ribadire un concetto: non tutti consumiamo allo stesso modo, esistono forti diseguaglianze sia nei consumi (più sei ricco più consumi) sia nella possibilità economica di modificare le proprie abitudini in termini di mezzi di trasporto o efficientamento energetico. Per questo servirebbe intraprendere davvero una strada di intervento pubblico e pianificazione, per questo servirebbe un vero recovery plan finalizzato alla rimozione delle diseguaglianze e alla riconversione energetica ed ecologica.  

L’aumento del prezzo delle materie prime (gas, petrolio, alluminio, ma anche grano e cereali) con valori che sono raddoppiati e triplicati in pochi mesi implica una crescita vertiginosa dei costi fissi delle famiglie e della spesa per beni di consumo. La nostra battaglia per il salario minimo #SottoDiecièSfruttamento diventa sempre più cruciale. Serve dare subito risposte concrete alle condizioni di vita materiali di chi per vivere ha bisogno di lavorare, di chi non trova occupazione, di chi aveva un salario da fame ieri e avrà ancora più difficoltà domani. 

È necessario mobilitarsi ovunque, costruire coalizioni e organizzare azioni per il pane, per la pace, per il pianeta. Lo faremo a partire dall’impegno delle attiviste e degli attivisti che si mobilitano con noi e di tutte le reti con cui sapremo costruire alleanze.
Lo faremo scendendo in piazza il 25 e il 26 marzo con Fridays For Future e con il collettivo della GKN a Firenze. 

Avevamo sperato e ci eravamo battuti affinché la crisi sanitaria dell’ultimo biennio fosse un passaggio di fase in senso progressivo, si tornasse a politiche espansive tese a ridurre le diseguaglianze, si tornasse a un’idea di Stato capace di prendersi cura dei cittadini.
Ci siamo mobilitati nelle piazze di Fridays For Future e del movimento ecologista per una vera transizione ecologica. 

Invece l’unica politica di spesa con cui ci troviamo a fare i conti è la corsa agli armamenti, il ruolo dello Stato in questa nuova epoca è quello della guerra.
Le spinte solidali che univano i popoli di tutto il mondo nei primi mesi di pandemia vengono spazzate via, emerge con forza, spinta dalla propaganda, la voglia di guerra e vendetta, lo scontro tra popoli, l’odio dilaga. 

Sembra chiudersi definitivamente la finestra di opportunità di un’uscita solidale dalla pandemia.

Mentre si chiude formalmente lo stato di emergenza della pandemia si apre nella sostanza lo stato di emergenza della guerra, si discute con normalità nei bar e in tv della minaccia nucleare e importanti figure pubbliche parlano con leggerezza di economia di guerra. Con pochi minuti di discussione parlamentare e qualche talk show si sono fatti enormi passi indietro di anni sul fronte della lotta al cambiamento climatico.

Per decenni si è parlato di come una guerra nucleare ci porterebbe all’estinzione della specie umana. Davanti alla minaccia di un conflitto tra potenze nucleari vediamo gli Stati da un lato correre ad armarsi e alimentare il rischio atomico, dall’altro ad azzerare le timide misure contro il climate change spingendoci verso il baratro della catastrofe climatica. Una duplice corsa verso l’estinzione.

La riapertura delle centrali a carbone  è un atto che pagheremo duramente ed è il simbolo della profonda involuzione di uno spazio politico già profondamente slittato a destra e nell’anno pre-elettorale i presagi sono funesti.

La legislatura iniziata nel quadro di un’enorme polarizzazione del quadro politico e il parlamento votato con un mandato di forte rottura (da destra) dello status quo, sta volgendo al termine con l’unanimismo su guerra e carbone. Le voci critiche sono flebili e ridotte al ruolo di spettatori in tribuna. 

La grande piazza di San Giovanni, nonostante la debolezza della piattaforma, le mobilitazioni pacifiste e l’attivazione solidale e per l’accoglienza davanti alla fuga di milioni di rifugiati sono invece elementi che ci danno speranza; ma la politica – specialmente nel nostro campo – è, ancora una volta, molto più indietro della società.

Mentre assistiamo impotenti a quello che viene impropriamente definito “il ritorno della storia” (non era mai finita), in Italia continuiamo a dover fare i conti con l’assenza dell’alternativa a questa drammatica storia. Lo spazio politico della sinistra continua ad essere totalmente inadeguato. 

Mentre in queste prime due settimane di guerra abbiamo assistito in Italia e in Europa a un ulteriore slittamento verso destra delle forze del PSE, in tutta Europa la sinistra si trova in una condizione non semplice. 

In Italia è invece del tutto afona e sempre più in un vicolo cieco. A un anno dalle elezioni politiche del 2023 da un lato si prefigurano opzioni elettorali costruite in accordo a priori con il Partito Democratico,  prive di un profilo autonomo e della velleità di conquistare un rapporto di forza capace di condizionare la coalizione con PD 5 stelle. 

Dall’altro lato chi sceglie a priori di escludere qualunque ipotesi di alleanza, anche nel caso al momento improbabile in cui si dovessero avere rapporti di forza favorevoli a cambiare davvero la vita delle persone.
Le due subalternità speculari delle sinistre italiane rendono inutile qualsiasi proposta in campo. Fa rabbia vedere questa scarsa ambizione, questo scarso coraggio, proprio quando sui territori ci sono una miriade di esperienze civiche e politiche, radicali, maggioritarie e credibili, è frustrante che proprio quando intorno tutto cambia si scelga sempre di riproporre gli stessi schemi. 

Noi dialogheremo, daremo il nostro contributo di idee ed energie per scardinare questo schema e far sì che ci siano forze politiche ecologiste e egualitarie che si battano per cambiare davvero lo stato di cose presenti. 

Lo faremo formandoci, lo faremo informando, lo faremo mettendo in rete le esperienze amministrative, le reti mutualistiche, scendendo in piazza, con la campagna per il salario minimo, la riconversione ecologica e una società diversa. Lo faremo con i nostri corpi e con la nostra testa, insieme a tante e tanti altri con sempre più determinazione. 

È il momento di disertare. È il momento di impegnarsi. 

IL DOCUMENTO È APPROVATO DALL’ASSEMBLEA GENERALE DI UP DEL 13 MARZO 2022