Vogliamo una vita libera e serena. Non vogliamo vivere con angoscia la fine di ogni mese, non vogliamo vivere la disoccupazione come un dramma insormontabile e non sopportiamo più la frustrazione di chiudere ogni giornata avendo lavorato tantissimo tempo, venendo pagati pochissimi soldi.
Pensiamo una cosa semplice e di buon senso: tutte le persone, indipendentemente dalla propria situazione occupazionale, devono essere libere dalla povertà.
I soldi fanno la felicità? Sono sinonimo di potere? Di sicuro – nella società in cui viviamo – determinano il confine tra il potere e il non potere, tra poter scegliere della propria vita, e impossibilità di farlo.
Tantissime e tantissimi di noi nonostante anni di esperienza, studi, sforzi, fatica, non sono indipendenti e soddisfatti della propria condizione di vita. C’è chi è costretto a rimanere a lungo in casa con i genitori, chi ci torna dopo anni di tentativi, c’è chi condivide la casa con amici e sconosciuti nonostante siano passati molti anni dalla fine degli studi. C’è chi lavora tante ore con una paga oraria ridicola e c’è chi è costretto a un part-time dietro il quale si nascondono straordinari non pagati, sfruttamento e ricatti, c’è chi non trova lavoro e chi emigra per averne uno, chi lavora per un decennio nella stessa azienda con una partita IVA senza mai avere ferie e contributi, chi passa da uno stage non retribuito a un finto tirocinio sottopagato, chi prende la metà del suo collega di scrivania pur svolgendo le stesse mansioni, chi ha visto aumentare le proprie bollette a dismisura per lo smartworking e chi viene licenziato perché l’azienda delocalizza all’estero.
La gran parte di quel che guadagniamo svanisce rapidamente tra la casa in cui dormiamo e i mezzi di trasporto per andare a lavoro.
Gli affitti, le rate del mutuo, il costo della vita quotidiana sono alti se non altissimi. I salari di milioni di persone sono bassissimi.
Oggi il salario medio italiano è 12.400 euro meno di quello tedesco. L’Italia è tra i pochissimi paesi in Europa in cui i salari medi nel 2019 sono inferiori a quelli del 2007. Sempre in Italia più di 5 milioni di lavoratori e lavoratrici guadagnano meno di 10.000 euro annui, quindi pur lavorando si trovano sotto la soglia di povertà. Ci sono troppe persone alle quali non è garantito un salario sufficiente per la costruzione di quell’esistenza libera a dignitosa di cui parla l’articolo 36 della nostra Costituzione. Noi, persone che hanno bisogno di lavorare per vivere, non sopportiamo più questa situazione.
Il lavoro povero non è un problema solo della singola persona, ma è una piaga che si abbatte su tutto il paese. Salari più bassi significa meno consumi, meno investimenti, meno crescita economica. Salari più bassi significa crescita della povertà assoluta.
Il lavoro povero non è un problema che riguarda solo l’Italia di oggi, ma anche quella del futuro. Salari da fame oggi significa pensioni da fame domani.
Lavorare sotto i dieci euro l’ora facilita la concorrenza al ribasso, la guerra tra poveri, la competizione tra chi lavora, meccanismi tossici che danneggiano le persone comuni a vantaggio di chi trae profitto dalla nostra fatica.
Lavorare in condizioni precarie senza adeguati ammortizzatori sociali e senza una forma realmente inclusiva di reddito di cittadinanza vuol dire essere tutte e tutti costantemente sotto ricatto. La vittima di questo ricatto è l’intero Paese.
Leggiamo sui giornali che una parte di responsabilità è nostra perché siamo pigri e preferiamo restare sul divano invece che lavorare. Niente di più falso! Lo dimostrano i dati inps sui contratti stagionali attivati nell’estate 2021 (oltre 142.000), una cifra più alta di quando non c’era il reddito di cittadinanza. Sono tutte balle.
È vero invece che tantissime persone grazie al reddito di cittadinanza hanno attutito le conseguenze più dure della povertà e se c’è chi preferisce mantenere il reddito di cittadinanza ad un rapporto di lavoro è solo perché quel lavoro è pagato meno del reddito stesso.
Si è superato il limite di sopportazione. Lavoriamo sempre più ore, pagati sempre meno. La nostra esperienza, la nostra capacità di produrre e di fare bene il nostro lavoro aumenta di anno in anno, solo i salari restano fermi e soprattutto insufficienti a vivere una vita degna.
Non meritiamo tutto questo. Siamo molto più che meri numeri. È vero. Il nostro valore individuale di persone non è riassumibile in una cifra, ma se la cifra con cui veniamo misurati è il nostro stipendio, si sappia che è davvero troppo bassa, e lotteremo per cambiarla, per noi e per tutti.
Per questo nasce questa campagna, per questo ti chiediamo di unirti a noi.
Ci mobiliteremo per un salario minimo di almeno 10 euro lordi l’ora. Una retribuzione oraria adeguata e mai inferiore a 10 euro deve riguardare tutte le lavoratrici e i lavoratori, sia che si tratti di persone con un contratto collettivo conquistato dalle organizzazioni sindacali sia che si tratti di partite iva senza alcuna tutela.
Ci batteremo insieme per difendere, migliorare e potenziare il reddito di cittadinanza facendone uno strumento davvero universale, con importi più alti e che tuteli più persone, insieme a un nuovo sistema di ammortizzatori sociali rivolto davvero a tutte le categorie e condizioni di lavoro.
Vogliamo essere libere e liberi di rifiutare i lavori sottopagati. Vogliamo che il nostro lavoro e la nostra fatica vengano riconosciute e retribuite. Vogliamo vivere senza l’incubo di ritrovarci improvvisamente senza un reddito.
Ci battiamo per dire un’idea semplice: vogliamo una vita degna, lavorare con soddisfazione, avere tempo e soldi per vivere con autonomia e indipendenza.
Sotto 10 euro l’ora è sfruttamento.
È tempo di pagare. È tempo di cambiare.
Dacci dieci!
Come cambierebbe la nostra vita con il salario minimo a 10 € e perché ci riguarda tutte e tutti.
Attiviamoci insieme
Diffondi i materiali tra amici, colleghi e vicini di casa.
Coinvolgi altre persone.
Organizza una presentazione della campagna nel tuo comune e invitaci.
Organizza un banchetto informativo.
Partecipa alle azioni di mobilitazione il 10 di ogni mese.
Iscriviti ad UP!
Quante persone hanno bisogno del salario minimo?
I dati messi a disposizione dagli archivi Inps ci dicono che in Italia ci sono più di cinque milioni di lavoratori e di lavoratrici che guadagnano meno di 1000 euro mensili e 11.000 euro l’anno. Si tratta di una galassia che coinvolge dipendenti, autonomi, collaboratori. Una platea in costante aumento che segnala la pervasività del lavoro povero in Italia. A questo dato, sempre l’Inps aggiunge che sono 4,5 milioni di lavoratori dipendenti che guadagnano meno di 9 euro lordi l’ora. È quindi ipotizzabile che un salario minimo a 10 euro l’ora avrebbe un effetto positivo su più di un lavoratore su tre.
il salario minimo riguarda solo chi ha un contratto collettivo?
Noi ci battiamo perché tutte le persone che lavorano ricevano una retribuzione adeguata a prescindere dall’inquadramento. Il tema riguarda anche le partite IVA ad esempio. Il salario minimo si applica a tutti i rapporti di lavoro e stabilisce una soglia minima al di sotto della quale non è possibile pagare i lavoratori e le lavoratrici. Se esiste un contratto collettivo che regola il rapporto di lavoro, ma prevede una paga più bassa, il salario minimo modifica in meglio la paga del lavoratore. Se il rapporto non è regolato da un contratto collettivo il salario minimo è il riferimento unico per fissare la paga minima.
L’introduzione del salario minimo avrebbe un impatto sulle diseguaglianze?
Sì, i dati che abbiamo a disposizione (Organizzazione internazionale del lavoro p. 25) ci dicono che l’introduzione del salario minimo contribuisce a ridurre le diseguaglianze. Oltre a ridurre le diseguaglianze fra famiglie ricche e famiglie povere, riduce quelle fra generi, generazioni, nativi e migranti, zone urbane e rurali.