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Basta false promesse: la vera transizione ecologica parta dai territori.

Il 19 marzo sarà la Giornata mondiale di Azione per il Clima e, anche stavolta, Fridays for Future Italia porterà nel nostro Paese la mobilitazione per dire basta alle false promesse

Noi siamo con FFF e con tutte e tutti coloro che si battono per una vera transizione ecologica.

Il Ministro Cingolani e le sue linee guida

Dal suo insediamento fino all’audizione di ieri alla Camera, il neoministro alla Transizione Ecologica Cingolani ha tenuto più interventi pubblici per illustrare quello che sarà il percorso che il nostro Paese attraverserà per la stesura e l’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. In ognuna di queste occasioni si è sempre palesato, in maniera lampante il profilo del neoministro quale innovatore tecnologico, per 14 anni a capo dell’istituto italiano di tecnologia voluto da Moratti e Tremonti, più di recente innovation manager di Leonardo (ex Finmeccanica). Un profilo inadeguato, o quanto meno insufficiente, il punto non è il curriculum del Ministro, ma la prospettiva di cui avrebbe bisogno il nostro Paese.

La transizione tanto evocata, da destra a sinistra, dalle piazze ai consessi istituzionali, dagli istituti finanziari alle assemblee d’istituto, è divenuta un oggetto indeterminato sul quale nessuno ha un’idea chiara. La scelta stessa di affidare questo processo a un innovatore tecnologico ci mostra come non stiamo centrando il punto. Un processo virtuoso di transizione non deve passare da un adeguamento tecnologico e una modernizzazione esasperata che trovino un modo mirabolante per far sparire le emissioni che produciamo senza alterare per niente il quadro di priorità, il modello economico e il quadro valoriale in cui siamo inseriti.

Una reale transizione ecologica

Il grande equivoco, quando si parla di ecologia, è quello che si pensi di avere a che fare con una serie di elementi naturali (acqua, aria, terra, energia, ecc…) come se fossimo altro da loro e dovessimo trovare una strada di compromesso per interagirci. 

Un ragionamento ecologico, una prospettiva ecologica, servono invece a imporre innanzitutto il paradigma per il quale siamo inseriti in un sistema più ampio, al cui interno per svariati millenni abbiamo pensato di farla da padroni, e adesso stiamo pagando le conseguenze della nostra ingenuità presuntuosa. Senza queste considerazioni preliminari, non ci sarà transizione che tenga e tutto quello che faremo sarà rimandare il problema, mettendoci una pezza.

È quello che possiamo dedurre chiaramente dall’intervento di ieri del Ministro, che ha posto l’accento in particolare su due questioni: quella del futuro a idrogeno verde, e quella della fusione nucleare come destinazione ultima del percorso di riconversione energetica. Certo, la scelta di utilizzare l’idea romantica di adeguarci al funzionamento delle stelle può risultare efficace e suggestiva, ma soltanto per chi non abbia chiaro il punto.

Il debito ecologico.

Cingolani ieri ha fatto riferimento a un tema molto utile a chiarire il quadro: quello del debito ecologico. Il “debito ambientale”, sostiene il Ministro, “è, per sua natura, un debito comune che  trascende i confini degli Stati e non è esigibile esclusivamente in capo a  chi lo ha prodotto, che sia una generazione o una collettività, distanti nel  tempo o nello spazio. Inoltre, siamo già gravati da un debito ambientale contratto nei passati decenni, il cui montante sarà sempre più faticoso recuperare, se non agiamo per tempo”. Il riferimento appare confuso e confusionario e proprio la piazza dei Fridays può essere utile a mettere le cose in chiaro. 

Esiste in questo momento una responsabilità molto ingente circa lo stato di salute del Pianeta ed essa è chiaramente riconducibile al modello di sviluppo che abbiamo perseguito negli ultimi secoli, e addirittura saremmo in grado, checché ne dica il Ministro, di individuare chi ne è responsabile, facendone nomi e cognomi. È un debito che travalica i confini degli stati ma, come ognuno dei debiti che pesano sulle nostre teste, non è stato assunto da tutti quelli cui è richiesto di pagarlo e, soprattutto, da tutti quelli che lo pagheranno.

È vero che come genere umano siamo in debito con il Pianeta, ma è anche vero che, nella nostra specie, c’è qualcuno che su questo debito si è arricchito e qualcun altro che invece ne ha soltanto pagato gli interessi. 

La divisione del mondo qui delineata è chiara: esistono intere aree del Pianeta che stanno pagando lo scotto dello sviluppo economico, esistono intere generazioni che stanno già pagando o pagheranno certamente il prezzo della bambagia in cui pochi si sono crogiolati negli ultimi cinquant’anni. 

I debiti da pagare.

Curiosamente, ci troviamo in una situazione in questo sta accadendo in maniera plastica, materiale: l’idea di utilizzare fondi europei per porre rimedio alle storture e degenerazioni di un modello di sviluppo che non ha mai guardato agli impatti ecologici ma soltanto alla quantificazione numerica degli indicatori di arricchimento economico è buona, funziona, ma può essere efficace solo se teniamo presente quanto detto fino a ora. 

Può funzionare se ci ricordiamo innanzitutto che si tratta dell’ennesimo debito che stiamo contraendo. Un debito che verrà pagato da chi scenderà in piazza il 19 marzo in termini generazionali, che sarà pagato con il nostro futuro, con i frutti del lavoro delle generazioni più giovani, con le nostre pensioni.

Noi, che ci troveremo nella condizione di dover pagare quel debito, dobbiamo avere voce in capitolo su come saranno utilizzati quei fondi. Il nostro Ministro ha a più riprese fatto riferimento alla necessità di realizzare consultazioni pubbliche, ma ogni volta che si fa riferimento a chi viene consultato, la lista degli stakeholders comprende soltanto tecnici, esecutori, imprese, e il riferimento alla cittadinanza resta vago e indeterminato, quando non introdotto come “strumento di risoluzione preventiva dei conflitti e del contenzioso”. 

Per riempirle di senso, è importante tramutare le parole in immagini: nel discorso del Ministro appare chiaramente una divisione di fronti, non una visione unitaria di Paese. Le consultazioni non servono ad evitare i conflitti, devono servirci a decidere insieme l’idea, il modello di Paese di cui i decisori politici devono farsi esecutori. Senza questa inversione di prospettiva, non andremo da nessuna parte. 

Una proposta concreta: curiamo il Paese

Non si tratta di un progetto astratto e immateriale, e anzi la necessità di riflettere sulla nostra idea di Paese si rafforza adesso che ci sono le risorse per realizzarla. Una delle priorità che questo processo dovrebbe darsi, per esempio, è proprio quella di rimediare alle storture che fino a questo momento abbiamo prodotto. 

Il quadro delle contaminazioni ambientali del nostro Paese, i numerosi Siti di Interesse Nazionale e Regionale, ci raccontano la storia di territori che hanno pagato lo scotto dello sviluppo industriale e che non sono mai stati risarciti. Si tratta di intere comunità che sono state scientemente sacrificate sull’altare dello sviluppo economico attraverso grandi fabbriche inquinanti, meccanismi legali e non smaltimento dei rifiuti, costruzione di grandi opere inutili che hanno soltanto devastato i territori. Si tratta di comunità che hanno avuto una parte importante ma sempre in ombra nel processo: lo hanno pagato in termini di diritto alla salute e, più in generale, in termini di negazione di spazi di democrazia e potere di decisione, non avendo mai potuto avere voce in capitolo. 

Adesso che ci sono i soldi, devono arrivare i risarcimenti. Mai come in questo ultimo anno il diritto alla salute è stato al centro del dibattito pubblico. Se la ripresa deve corrispondere alla cura, allora curiamo veramente il nostro Paese, intervenendo innanzitutto sui residui di un modello passato, che ha lasciato soltanto macerie che non è più possibile ignorare. Prendersi cura dei territori e delle comunità vittime di contaminazioni significa porre le premesse per il loro riscatto e la nascita di diversi modelli di sviluppo economico e sociale a livello locale. La transizione ecologica o si materializzerà nella vita dei territori o non sarà

È inaccettabile che il Ministero ci dica che su questo è tutto ancora da definire, mentre sembrano chiarissimi gli obiettivi connessi all’innovazione tecnologica nel campo della produzione di energia. 

È inaccettabile che, proprio adesso, la priorità non sia ancora una volta lo Stato di salute del Paese e delle comunità che lo abitano. Alle quali, però, verrà ancora una volta presentato il conto.